Ricorso per conflitto di attribuzioni della provincia  autonoma  di
 Trento,   in   persona   del   Presidente  della  Giunta  provinciale
 pro-tempore, autorizzato con deliberazione della  Giunta  provinciale
 n. 6710 del 17 settembre 1999 (all. 1), rappresentata e difesa - come
 da procura speciale del 21 settembre 1999 (rep. n. 023692) rogata dal
 dott.    Tommaso  Sussarellu,  dirigente del Servizio affari generali
 della  provincia  autonoma  di  Trento  (all.  2)  -  dagli  avvocati
 Giandomenico  Falcon  di  Padova e Luigi Manzi di Roma, con domicilio
 eletto in Roma presso lo studio dell'avv. Manzi, via Confalonieri  n.
 5.
   Contro   il   Presidente   del   Consiglio   dei  Ministri  per  la
 dichiarazione che non spetta allo  Stato  di  emanare  nei  confronti
 della   provincia   autonoma   di  Trento  il  decreto  del  Ministro
 dell'ambiente 24 maggio 1999,  n.  246,  "Regolamento  recante  norme
 concernenti i requisiti tecnici per la costruzione, l'installazione e
 l'esercizio   dei  serbatoi  interrati",  pubblicato  nella  Gazzetta
 Ufficiale  n.  176,  serie  generale,  del  29  luglio  1999,  ed  in
 particolare  le  disposizioni di cui agli artt. 1, 2 e 3, comma 1; 4,
 comma 1; 5, commi 2, 3, 4; 6; 8; 9; 10; 11; 12, e gli allegati A e B,
 nonche' per il conseguente annullamento  dello  stesso  decreto,  con
 particolare  riferimento  alle specifiche disposizioni impugnate, per
 violazione:
     dell'art. 8, nn. 5) e 6) dello Statuto, in quanto assegnato  alla
 provincia autonoma di Trento potesta' legislativa primaria in mateira
 di Urbanistica e piani regolatori nonche' di Tutela del paesaggio;
     dell'art.  9, nn. 3), 9) e 10) dello Statuto, in quanto assegnano
 alla provincia autonoma di Trento potesta' legislativa concorrente in
 materia di Commercio, Utilizzazione delle acque pubbliche,  Igiene  e
 sanita';
     dell'art.    16    dello   Statuto,   concernente   le   funzioni
 amministrative provinciali;
     del sistema delle norme di attuazione  ed  in  particolare  degli
 artt. 2 e 3 del d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266;
     dell'art.  17, comma 3, legge n. 400 del 1988; dell'art. 8, comma
 1, legge n. 59 del 1997;
     del principio di leale cooperazione tra Stato e  regioni,  per  i
 profili e nei modi di seguito illustrati.
                            Fatto e diritto
   Il  d.m.  24  maggio 1999, n. 246, qui impugnato, sostituisce (come
 espressamente risulta dall'art. 13) il d.m.  20  ottobre  1998,  gia'
 impugnato da questa provincia con ricorso del 28 dicembre 1998.
   La sostituzione si sarebbe resa necessaria, secondo quanto risulta,
 perche'  con  il  precedente  decreto  il  Ministro aveva dettato una
 disciplina sostanzialmente normativa senza seguire l'iter  prescritto
 per gli atti regolamentari.
   .A  seguito  di  cio', con rilievo compiuto il 16 novembre 1998, la
 Corte dei conti ha fatto presente che il decreto  in  questione,  pur
 recando disposizioni normative, non era stato sottoposto al controllo
 preventivo,  e  dunque  ad avviso della Corte stessa non aveva potuto
 conseguire efficacia.
   In  questa situazione, il Ministro ha "ripreso" il procedimento che
 gia' aveva condotto al d.m. 20 ottobre 1998 dal punto  immediatamente
 precedente  l'emanazione  del  decreto,  ha  sottoposto  le  relative
 disposizioni (con qualche minore modifica di contenuto rispetto  alla
 precedente  versione,  e  con  la  parola  "Regolamento" inserita nel
 titolo dell'atto) al  parere  del  Consiglio  di  Stato,  nonche'  al
 conseguente controllo della Corte dei conti.
   Peraltro,  ne'  le poche modifiche di contenuto, ne' la nuova forma
 di adozione dell'atto eliminano i profili  di  incostituzionalita'  e
 lesivita' che gia' inficiavano il decreto sostituito.
   Di  qui' la necessita' e l'opportunita' della nuova impugnazione da
 parte della provincia autonoma di Trento, per  riprospettare  avverso
 l'atto  ora  vigente  le  censure gia' proposte avverso il precedente
 decreto, integrate con le considerazioni e le censure rese necessarie
 dalla nuova forma dell'atto.
   Come il decreto del 20 ottobre 1998, quello qui impugnato  concerne
 i "requisiti tecnici per la costruzione l'installazione e l'esercizio
 dei  serbatoi  interrati". Esso interviene in una materia nella quale
 la provincia autonoma di Trento ha  potesta'  legislativa,  ai  sensi
 delle disposizioni statutarie e di attuazione ricordate in premessa.
   Nell'esercizio  di  tale  potesta' legislativa, la provincia ha tra
 l'altro approvato le disposizioni contenute nel  "Testo  unico  delle
 leggi   provinciali   in   materia   di  tutela  dell'ambiente  dagli
 inquinamenti" con decreto del Presidente della Giunta provinciale  26
 gennaio  1987,  n.  1-41/Legisl.  In particolare, l'art. 26 del testo
 unico reca la  disciplina  relativa  ai  Serbatoi  o  contenitori  di
 materiale inquinante, in cui sono disposte le prescrizioni necessarie
 per evitare effetti di inquinamento.
   Piu' precisamente, la normativa provinciale tra l'altro pone regole
 sulla  alimentazione  dei  serbatoi e abilita la Giunta provinciale a
 stabilire le modalita' tecniche per la loro installazione (comma  1);
 prescrive  che  i  serbatoi non possano collocarsi a diretto contatto
 con il suolo ma debbano essere sistemati entro un apposito  involucro
 impermeabile  (comma  2  e comma 3 per le norme transitorie); prevede
 regole cautelative per l'accumulo  o  accatastamento  di  sostanze  e
 materiali solidi e semisolidi (comma 4); prevede i rimedi per il caso
 di inosservanza (comma 5).
   La   normativa   provinciale   in   materia   e'  completata  dalla
 deliberazione della Giunta provinciale del 25 maggio 1990,  n.  6043,
 avente ad oggetto (ai sensi del comma 9 dell'art. 26 sopra ricordato)
 la "Determinazione di soglie limite (all. 3)".
   Inoltre  la  provincia  autonoma  di  Trento  dispone  anche di una
 propria disciplina in  materia  di  distributori  di  carburanti,  in
 particolare disposta dall'art. 51 della legge provinciale 22 dicembre
 1983,  n.    46  (Disciplina del settore commerciale, con il relativo
 regolamento di attuazione di cui  al  decreto  del  Presidente  della
 Giunta provinciale 13 dicembre 1984, n. 18-13).
   Nelle  stesse  materie  interviene ora sul piano nazionale (dopo il
 d.m. del 20 ottobre 1998) il decreto ministeriale 24 maggio 1999, qui
 impugnato. Esso  si  pone  la  finalita',  come  espressamente  detto
 all'art.  1,  della "salvaguardia e prevenzione dell'inquinamento del
 suolo e delle acque superficiali e sotterranee  che  potrebbe  essere
 causato  dal rilascio delle sostanze o preparati contenuti nei citati
 serbatoio".
   A tale fine il decreto contiene una analitica disciplina  suddivisa
 in  disposizioni di carattere generale (artt. da l a 5), disposizioni
 per nuovi serbatoi interrati (artt. da 6  a  9)  e  disposizioni  per
 serbatoi   interrati  esistenti  (artt.  10  e  11),  alle  quali  si
 aggiungono la disposizione sulle "norme tecniche di  riferimento"  di
 cui all'art.  12 e la disposizione finale di cui all'art. 13. Di tali
 disposizioni  converra'  in  primo  luogo esaminare sinteticamente il
 contenuto.
   Il  regolamento,  dopo  avere  nei  primi  tre  articoli  stabilito
 presunti   "Principi   generali"   (in  realta'  si  tratta  soltanto
 dell'oggetto della disciplina), posto talune "Definizioni" e  fissato
 il  "Campo  di applicazione" (serbatoi destinati a contenere sostanze
 inquinanti con capacita' superiore ad un metro cubo e non  rientranti
 nelle  esclusioni  espressamente  stabilite), all'art. 4 (Funzioni di
 indirizzo) abilita' il Ministro dell'ambiente a svolgere "funzioni di
 indirizzo, di promozione e di coordinamento delle attivita'  connesse
 con  l'applicazione  del  presente  decreto" (comma 1, lett. a), e ad
 elaborare e proporre (non e' chiaro a chi e con  quale  effetto)  "le
 linee   guida   relative   all'applicazione   delle   tecnologie   di
 contenimento e rilevamento dei rilasci dei serbatoi interrati" (lett.
 b).
    Tali  "linee  guida",  in  particolare,  hanno  al  di  la'  delle
 apparenze  un  netto carattere normativo, come risulta dal rinvio che
 ad esse fa l'art. 12 in relazione alle "norme tecniche di riferimento
 da  applicare   alla   progettazione,   costruzione,   installazione,
 conduzione  e manutenzione, nonche' controlli ed interventi". Dunque,
 cio' che all'art. 4 appare come soffice "linea guida" all'art. 12  e'
 gia' tradotto in una precisa normativa da osservare.
   Inoltre   all'art.   5   la  normativa  ministeriale  individua  le
 "Autorita' competenti e procedure autorizzative": anche se, per vero,
 non risulta affatto chiaro in quale misura le disposizioni  dell'art.
 5  abbiano  contenuto  normativo  autonomo,  limitandosi esse in gran
 parte a richiamare le disposizioni delle leggi  e  degli  altri  atti
 normativi vigenti.
   Cosi' il comma 1 dichiara che "per il rilascio delle concessioni ed
 autorizzazioni,  relative  ai  depositi  di  oli  minerali, ove siano
 presenti anche serbatoi interrati", le competenze  (e  le  procedure)
 siano  prefettizie ai sensi della legge 7 maggio 1965, n. 460, ovvero
 del Ministero dell'industria, ai sensi della legge 8  febbraio  1934,
 n.  367,  e  successivi provvedimenti, e le procedure quelle previste
 dal decreto del Presidente della Repubblica 18 aprile 1994,  n.  420.
 Sicche' il comma 1 non pare abbia autonomo intento normativo.
   Il  comma  2  appare  limitarsi,  in  relazione  al "rilascio delle
 concessioni  e  autorizzazioni  per  impianti  di  distribuzione   di
 carburanti  sulla viabilita' ordinaria e sulla rete autostradale, ove
 siano installati serbatoi intererrati", a  ricordare  un  riparto  di
 competenze,  stabilito aliunde, secondo il quale "le competenze sono,
 rispettivamente, della regione e delle amministrazioni centrali".  ln
 realta',  tale  norma "dimentica" gli ultimi sviluppi normativi, che,
 in relazione alle regioni ordinarie, hanno fatto venir meno il regime
 di concessione  di  cui  alla  legge  n.  1034/1970,  attribuendo  la
 competenza  in  materia  ai  comuni e alle regioni: si veda, a questo
 proposito, il d.lgs.  11 febbraio 1998, n. 32, e l'art. 105, comma 2,
 lett. f), del d.lgs.  31 marzo 1998, n. 112.
   Si  notera',  comunque, che le varie "concessioni e autorizzazioni"
 di cui si tratta non riguardano di per se' i  serbatoi,  ma  fenomeni
 piu'  complessi  quali  i  depositi  di oli minerali da un lato e gli
 impianti di distribuzione di carburanti dall'altro: ne'  la  relativa
 disciplina   preesistente  appare  fare  particolari  distinzioni  in
 relazione  alla  presenza,  sottolineata  invece  nel   decreto   qui
 impugnato dei serbatoi interrati.
   Il  comma  3  dello stesso art. 5 si riferisce agli "altri serbatoi
 interrati  conformi  al  presente   decreto",   per   precisare   che
 determinati  atti  di  affermata  competenza  del sindaco (nulla-osta
 all'esercizio e licenza di agibilita') dovrebbero emanarsi su "parere
 delle ARPA o di altro organismo  individuato  transitoriamente  dalla
 regione  competente  per  territorio,  ove  l'ARPA  non  fosse ancora
 costituita, e dei vigili del fuoco, se di pertinenza".
   In connessione con tali fattispecie il comma 4 infine  dispone  che
 "la  procedura  di  rilascio  di  nulla-osta o licenza prevista per i
 serbatoi interrati di cui al comma 3, e' fissata dall'art.  19  della
 legge  7  agosto 1990, n. 241, come modificato dal comma 10 dell'art.
 2 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, con esclusione degli impianti
 e dei depositi soggetti a controllo del Corpo  nazionale  dei  vigili
 del fuoco".
   Sia consentito per inciso osservare che sia il comma 3 che il comma
 4  sono di oscura formulazione, e che in particolare non si comprende
 che cosa significhi disporre che le procedure  di  rilascio  di  atti
 permissivi  sono "fissate" da una disposizione che in realta' dispone
 la soppressione degli atti permissivi, e la loro sostituzione con una
 denuncia di inizio di attivita': con una  "liberalizzazione"  che  in
 ogni modo non potrebbe essere disposta da un decreto ministeriale.
   Quanto alle disposizioni per nuovi serbatoi interrati, l'art. 6 del
 decreto  (Installazione  ed  uso di nuovi serbatoi interrati) dispone
 che "il soggetto che intende installare un nuovo serbatoio  interrato
 o   un   impianto   comprendente   nuovi  serbatoi  interrati"  debba
 trasmettere all'amministrazione competente "i moduli di registrazione
 di cui all'allegato B del presente decreto" (comma  1);  che  "per  i
 serbatoi  interrati  installati  in  impianti soggetti ad obblighi di
 notifica o di dichiarazione di cui agli artt. 4 o  6  del  d.P.R.  17
 maggio  1988, n. 175" il contenuto della "domanda di installazione di
 nuovi serbatoi interrati, di cui al comma 1", debba "essere riportato
 nel relativo rapporto di sicurezza o nella dichiarazione" (comma  2);
 infine  che  le  autorita'  competenti,  come  individuate all'art. 5
 provvedano "a fornire direttamente all'ARPA competente per territorio
 o altro organismo individuato  transitoriamente  dalla  regione,  ove
 l'ARPA non fosse ancora costituita, i moduli di registrazione".
   L'art.  7  contiene  norme tecniche sulla costruzione dei serbatoi.
 Esso non forma oggetto della presente impugnazione non tanto  perche'
 lo  si  possa  ritenere legittimo - apparendo anche tale disposizione
 come in generale l'intero decreto priva di fondamento normativo -  ma
 per  la  ragione che la provincia autonoma di Trento non rivendica un
 competenza in tale ambito, e che dunque il decreto non risulta lesivo
 di sue competenze.
   L'art.  8  riguarda  la  "Conduzione dei serbatoi interrati". Oltre
 alle generiche previsioni  del  comma  1  (secondo  il  quale  "nella
 conduzione  dei  serbatoi  interrati  debbono essere attuate tutte le
 procedure  di  buona  gestione  che  assicurino  la  prevenzione  dei
 rilasci,  dei  traboccamenti  e degli sversamenti del contenuto"), e'
 prescritto (comma 2) che il conduttore dei serbatoi debba "tenere  un
 libretto  aggiornato contenente: l'anno di installazione, il nome del
 titolare della concessione o, in caso di cambiamento, dei  successivi
 titolari, i controlli periodici di funzionalita', le prove di tenuta,
 le   eventuali  modifiche  apportate,  nonche'  la  registrazione  di
 eventuali anomalie o incidenti  occorsi  sui  serbatoi";  ed  inoltre
 (comma  3)  "provvedere  annualmente ad una verifica di funzionalita'
 dei dispositivi che assicurano  il  contenimento  ed  il  rilevamento
 delle perdite".
   L'art.   9  detta  le  regole  per  la  "Dismissione  dei  serbatoi
 interrati".  A tale fine si crea un sisterna di regole e di verifiche
 che inizia con la prescrizione dello svuotamento e della bonifica dei
 serbatoi e dell'eventuale bonifica del sito (comma 1),  prosegue  con
 la  statuizione  di  un obbligo di notifica della dismissione e delle
 modalita' di messa in sicurezza dei serbatoi interrati che cessano di
 essere  operativi,  notifica  che  dovra'  essere  effettuata   entro
 sessanta  giorni  dalla  data  di  dismissione  alla  amministrazione
 competente e all'ARPA o altro organismo individuato  transitoriamente
 dalla regione, ove l'ARPA non fosse ancora costituita.
   Seguono le disposizioni relative ai serbatoi interrati esistenti.
   L'art.  10 dispone (comma 1) che ogni serbatoio interrato esistente
 (ad esclusione dei serbatoi fuori uso svuotati  e  bonificati)  debba
 essere  adeguato  alle  disposizioni  del decreto entro i tempi e nei
 modi indicati nel seguente art. 11, e che  ogni  serbatoio  (compresi
 quelli  fuori  uso  svuotati e bonificati) sia soggetto ad obbligo di
 registrazione presso il competente organismo, sulla base di un modulo
 riportato nell'allegato A del decreto (comma 2).
   Secondo la disposizione del comma  3  potrebbero  essere  stipulati
 accordi  ai  sensi dell'art. 15 della legge n. 241 del 1990, definiti
 "infraprocedimentali",   tra   non    meglio    indicate    "societa'
 concessionarie"  e  diversi  Ministeri,  aventi  ad oggetto la tutela
 ambientale e la programmazione e l'ottimizzazione delle attivita'  di
 adeguamento dei serbatoi.
   Tale   disposizione   non   e'   chiara   e  non  sembra  formulata
 correttamente:  tra l'altro, gli accordi di  cui  all'art.  15  della
 legge   n.   241   sono   quelli  orizzontali  che  intercorrono  tra
 amministrazioni (laddove qui' intercorrerebbero,  sembra  di  capire,
 tra     privati    e    amministrazione),    mentre    gli    accordi
 "infraprocedimentali" non sono quelli di cui all'art.   15 ma  quelli
 verticali   di   cui   all'art.  11,  che  appunto  intercorrono  tra
 amministrazione e privati. In ogni modo, cio' che e' chiaro dal testo
 e' che i predetti accordi dovrebbero intercorrere con i Ministeri,  e
 non  con  le  competenti  istituzioni autonome, quali la provincia di
 Trento.
   L'art. 11 contiene una serie di disposizioni relative ai periodi di
 mantenimento in esercizio dei  serbatoi  esistenti,  differenziate  a
 seconda   dell'epoca  di  installazione  del  serbatoio,  ed  inoltre
 disposizioni relative agli adempimenti cui in ogni modo i proprietari
 dei serbatoi sono obbligati.
   Piu'   precisamente,   sotto  il  primo  profilo  (mantenimento  in
 esercizio), per i serbatoi installati prima del 1973 e'  previsto  un
 termine massimo di 5 anni per il compimento di determinate operazioni
 di  risanamento,  le  quali  consentono  un  ulteriore  esercizio del
 serbatoio stesso per un massimo di ulteriori 10 anni (commi  1  e  2)
 mentre  per i serbatoi installati in epoca successiva e' direttamente
 previsto un periodo di ulteriore possibile esercizio di 30 anni dalla
 data di installazione, periodo che si espande per ulteriori altri  10
 massimi in caso di risanamento (commi 3 e 4).
   Sotto  il  secondo  profilo  (adempimenti)  sono  previste prove di
 tenuta diverse a seconda dell'epoca di installazione  (comma  5,  con
 gli  ulteriori adempimenti di cui al comma 7). Tra gli adempimenti va
 poi ricordata (comma 6) l'apposizione  di  una  targhetta  contenente
 notizie varie (data interventi, ditta esecutrice, scadenza garanzia).
   Il  comma  8 dell'art. 11 dispone ulteriori regole e adempimenti in
 generale per i serbatoi gia' risanati (lett. a) ed in particolare per
 i serbatoi a doppia parete (che devono essere dotati  di  sistema  di
 monitoraggio  dell'intercapedine  entro  dieci  anni,  e che a questa
 condizione possono permanere indefinitamente in esercizio).
   Il  comma  9  dispone  -  con  norma  che  appare   sostanzialmente
 ripetitiva  di  quanto  gia' disposto dall'art. 5, comma 4 - che, nel
 caso di installazione di un nuovo serbatoio interrato in sostituzione
 di un  serbatoio  interrato  esistente,  si  procede  secondo  quanto
 previsto  dall'art.  19  della  legge  7  agosto  1990,  n.  241, con
 esclusione degli impianti e dei depositi  soggetti  a  controllo  del
 Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
   Il  comma  10 sancisce l'applicabilita' ai serbatoi esistenti delle
 norme di gestione e di dismissione dei serbatoi stabilite per i nuovi
 serbatoi dagli artt. 8 e 9.
   Quanto all'art. 12 (Norme tecniche di riferimento da  applicare  ai
 serbatoi),  il  comma 1, come detto, richiama quale normativa tecnica
 le norme "emanate ai sensi dell'art. 4,  comma  1,  lettera  b),  del
 presente   decreto"  (mentre  in  mancanza  si  osserveranno  "quelle
 praticabili  di  riconosciuta   validita'   a   livello   europeo   o
 internazionale").  Il comma 2 dispone che si osservi il comma 1 per i
 materiali di fabbricazione dei  contenitori  per  gli  oli  minerali,
 mentre i commi 3 e 4 riguardano requisiti dei sistemi di monitoraggio
 e dei sistemi di protezione catodica.
   Il  decreto qui impugnato contiene dunque una disciplina (ora anche
 formalmente)  regolamentare  -  solo  in   parte   avente   contenuto
 strettamente   tecnico   -   avente   ad  oggetto  la  strumentazione
 amministrativa della salvaguardia delle acque dagli inquinamenti  che
 derivino dai serbatoi interrati.
   Tale disciplina - ove si eccettuino i requisiti tecnici costruttivi
 di  cui  all'art.  7 - si sovrappone alle competenze della ricorrente
 provincia. Essa crea poteri  normativi  ulteriori  (artt.  4  e  12),
 stabilisce  competenze  di organi statali, regionali e comunali (art.
 5, commi 1-3), dispone l'applicabilita' di  specifiche  procedure  in
 luogo  di  certe  altre  (art.  5,  comma  4),  stabilisce  procedure
 amministrative per l'installazione di nuovi serbatoi (art. 6)  e  per
 la  dismissione  dei  serbatoi (art. 9), pone regole sulla conduzione
 (art. 8),  stabilisce  i  tempi  limite  di  esercizio  dei  serbatoi
 esistenti  e le modalita' di adeguamento alla nuova disciplina (artt.
 10 e 11).
   Oltre  a  essere  "istituzionalmente" inidonea - come si dira' - ad
 incidere sulle  competenze  regionali,  la  disciplina  regolamentare
 emanata  del  Ministro  dell'ambiente risulta del tutto sprovvista di
 base normativa.
   Nelle  premesse  il  decreto  dichiara  "visti",  quali  punti   di
 riferimento  della  disciplina  della  materia,  vari  e diversi atti
 normativi, nessuno  dei  quali  tuttavia  appare  fondare  il  potere
 ministeriale  di  emanazione  del  regolamento  in questione: sicche'
 questo  appare  privo   di   fondamento   legislativo   e   piuttosto
 "giustificato",  semmai, dall'avere - sempre in premessa al decreto -
 "ritenuta necessaria ed urgente l'azione di prevenzione di  incidenti
 originati da serbatoi interrati destinati allo stoccaggio di sostanze
 e  preparati  liquidi  per usi commerciali o ai fini della produzione
 industriale, a salvaguardia e prevenzione dell'inquinamento del suolo
 e delle acque superficiali e sotterranee che potrebbe essere  causato
 dal   rilascio  delle  sostanze  e  preparati  contenuti  nei  citati
 serbatoi".
   Ma  e'  ovvio  osservare  che  la   necessita'   ed   urgenza   non
 costituiscono   certo   autonoma  fonte  di  legittimazione  di  atti
 normativi  secondari  o  di  poteri  amministrativi,   e   che   tali
 circostanze   nel  sistema  costituzionale  legittimano,  invece,  il
 ricorso  a  poteri  costituiti  sia  nell'ordine  degli  atti   anche
 formalmente  equiparati  alla  legge  sia  nell'ordine  di  atti  non
 formalmente equiparati alla legge.
   Nel primo ordine il riferimento va ovviamente al decreto-legge, cui
 la Costituzione abilita il Governo ogni volta si debbano fronteggiare
 situazioni di necessita', senza che sia costituito un diverso potere;
 ma spesso vi sono gia' previsti nell'ordinamento - venendo al secondo
 ordine di poteri - strumenti  di  intervento  consistenti  in  poteri
 regolativi di ordinanza, collegati a situazioni di necessita'.
   E'  ovvio che il presente atto non e' un decreto-legge, ne' un atto
 corrispondente ad un potere di ordinanza.
   Il suo fondamento  si  trova  dunque  soltanto  in  valutazioni  di
 opportunita', che il Ministro ha ritenuto particolarmente cogenti: ma
 e'  evidente  che  tali  valutazioni  non  fondano comunque un potere
 normativo ministeriale che deve  invece  fondarsi  -  secondo  quanto
 stabilito  dall'art.  17, comma 3, legge n. 400/1988 - su un'espressa
 previsione legislativa.
   Tra   tutti   riferimenti   normativi   citati    nelle    premesse
 dell'impugnato  decreto  il  solo  d.lgs.  27  gennaio  1992, n. 132,
 assegna (art. 4, comma 3), per  quanto  risulta  alla  provincia,  al
 Ministro  dell'ambiente  "di  concerto  con i Ministri della sanita',
 dell'industria, del commercio e dell'artigianato, e  dell'agricoltura
 e  delle  foreste"  il  compito di indicare "le misure necessarie per
 impedire   scarichi   indiretti   delle   sostanze   dell'elenco    I
 dell'allegato,  o  per  limitare  scarichi  indiretti  delle sostanze
 dell'elenco II dell'allegato causati da operazioni sul  suolo  o  nel
 sottosuolo  diverse  da  quelle  disciplinate  dal  presente decreto"
 (cioe' dallo stesso decreto n. 132).
   Ora, anche prescindendo dal fatto che il d.lgs.  n.  132  e'  stato
 abrogato dal d.lgs. n. 152 del 1999, il regolamento qui' in questione
 non costituisce certo un atto di esercizio del potere cosi' previsto.
 Lo  escludono  da  un  lato  il  diverso  oggetto (non essendo qui in
 questione "operazioni sul suolo o  nel  sottosuolo"),  dall'altro  la
 diversa  procedura  e  le  diverse  autorita'  coinvolte  insieme  al
 Ministro dell'ambiente:  nell'atto impugnato il Ministro dell'interno
 e  quello dell'industria, nelle misure di cui al d.lgs. n. 132/1992 i
 Ministri  della  sanita'   e   dell'agricoltura,   oltre   a   quello
 dell'industria.
   Dunque,  si  tratta  di  una disciplina che, in assenza di una base
 legislativa,  interferisce  con  le   competenze   della   ricorrente
 provincia.
   Si  osservi che, se si trattasse di un atto di esercizio del potere
 di cui all'art. 4, comma  3,  del  d.lgs.  n.  132,  potrebbe'  anche
 dubitarsi  dell'applicabilita'  delle  disposizioni  impugnate  nella
 provincia di Trento: tale decreto,  infatti,  all'art.  5,  comma  4,
 mantiene  espressamente  "ferme le competenze delle province autonome
 di Trento e di Bolzano" ai sensi  dello  Statuto  e  delle  norme  di
 attuazione.  Potrebbe  allora intendersi che per le province autonome
 si applicano le sole disposiziomi dell'art. 7 concernenti i requisiti
 tecnici costruttivi dei serbatoi:   se cosi'  fosse  il  decreto  qui
 impugnato rimarrebbe ad avviso della ricorrente provincia illegittimo
 in  quanto  privo di base normativa, ma cesserebbe di essere per essa
 lesivo.
   Considerato nel suo tipo giuridico,  il  decreto  ministeriale  qui
 impugnato  si  presenta  come  un  atto  comunque  insuscettibile  di
 vincolare legittimamente la ricorrente provincia.
   Ai sensi delle norme di attuazione di cui al  ben  noto  d.lgs.  n.
 266  del  1992,  infatti,  gli atti statali in grado di esercitare un
 condizionamento verso il sistema normativo delle province autonome di
 Trento e di Bolzano sono da un lato gli  atti  con  forza  di  legge,
 dall'altro  gli  atti amministrativi di indirizzo e coordinamento:  i
 regolamenti sono, invece, inidonei ad intervenire  nelle  materie  di
 competenza provinciale (in realta', in tutte le materie di competenza
 regionale in genere, come risulta dalla costante giurisprudenza della
 Corte   costituzionale   -  v.,  ad  es.,  le  sentenza  della  Corte
 costituzionale n. 482/1995 e n. 250 del 1996 - e dall'art.  7,  comma
 1, lett. b), legge n. 400/1988).
   Trattandosi  di  materia affidata alla competenza legislativa della
 provincia  e  coperta  da  legge  provinciale,  l'adeguamento   della
 provincia  sarebbe  dovuto  soltanto  se  una fonte idonea (cioe' una
 fonte legislativa)  ponesse  legittimi  oneri  di  adeguamento  della
 legislazione  provinciale,  secondo  quanto  statuisce  l'art.  2 del
 d.lgs. n. 266 del 1992.
   Il rispetto dei vincoli di cui al d.lgs. n. 266/1992 si imporrebbe,
 ad avviso della provincia autonoma di Trento,  ancbe  se  l'atto  qui
 impugnato   dovesse   essere  ricondotto  al  genus  delle  normative
 tecniche.  Si e' gia' osservato che a  tale  genus  puo'  in  realta'
 essere  ricondotto  il  solo  art. 7, per il resto trattandosi di una
 disciplina di vari aspetti sostanziali e procedimentali di  carattere
 amministrativo.
   In  ogni  modo, in quanto si tratti di disposizioni che comunque si
 intrecciano   con   le   competenze   provinciali,    necessariamente
 interferendo  con  esse,  le  stesse  non potrebbero non rivestire la
 forma  dell'atto  di  indirizzo,  con   conseguente   necessita'   di
 rispettare  i  vincoli  di  contenuto (fissazione di obbiettivi) e di
 procedura (consultazione delle province) stabiliti  dall'art.  3  del
 d.lgs.  n.  266  del  1992,  e quello stabilito dall'art. 8, comma 1,
 della legge n. 59 del 1997 che assoggetta ad intesa con la conferenza
 Stato-regioni  gli "atti di coordinamento tecnico" oltre che gli atti
 di indirizzo e coordinamento e le direttive  relative  alle  funzioni
 delegate.
   Trattasi   di  disposizione  di  legge  esplicativa  del  principio
 costituzionale  di  leale   cooperazione,   che   risulta   anch'esso
 contestualmente violato.
   Impressiona  che  nel  coacervo di considerazioni ed adepimenti che
 emergono dalle  premesse  dell'impugnato  non  abbia  trovato  spazio
 alcuno  neppure una consultazione previa ne' con le province autonome
 di Trento e di Bolzano in  particolare  ne'  con  le  istituzioni  di
 raccordo tra Stato e autonomie regionali in generale.